Citazioni, Aforismi e Frasi celebri

Where

Testi di Emanuele Conte tratti dal programma radiofonico “Where

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Oggi proviamo ad andare verso varie destinazioni e chissà se capiremo dove siamo diretti, gireremo in lungo e in largo fra luoghi comuni e mete improbabili.
Andremo verso posti dove il dire e il fare della gente determinano l’umore della vita, il colore dei giorni, il peso delle parole e la forma dei pensieri.
Cercheremo notizie su mondi dove la fede di tanti, e l’amare sincero dei più, vincono la lotta contro la menzogna.
Proveremo a raccontare di persone speciali e mentre in cielo l’incredibile vola sopra le cose e le storie della gente, cercheremo di afferrarlo chiedendo un passaggio alle ali della fantasia.


C’è un arcipelago di isole fatto di tanti pezzi di terra che emergono da un mare che si chiama amore.
Ogni isola ha un nome e fra queste ci sono: attrazione, ardore, pazienza, gioia, felicità.
Succede che si attracchi su un’isola che si chiama tradimento e quando ti succede speri sempre che una forza maggiore arrivi per mettere a posto le cose, darti giustizia, dispensare pace. E a volte vendetta.


Dove andrai viaggiatore infreddolito.
Dove andrai quando sulla strada vedrai solo ghiaccio.
Dove andrai se non potrai scaldare i tuoi sogni.
Dove andrai quando la notte fredda sarà la tua compagna.
Dove andrai se non saprai accendere almeno una piccola fiamma d’amore.


Quando cerchi un tesoro perduto, a volte parti dal non sapere dov’è; altre volte, invece, sai benissimo dove trovarlo, perché sei stato proprio tu a gettarlo via.
È allora che cerchi lo specchio d’acqua torbida dove l’hai lanciato, che con il passare del tempo e della rabbia è diventato più limpido, solo che il sole, specchiandosi su di esso, genera un riflesso che continua ad accecarti e lo farà fino al momento in cui capirai di avere di nuovo bisogno di quello che hai buttato via.


Si erano riconosciuti nell’attimo in cui avevano capito di essere soli.
Era successo lì, nel posto dove iniziava la strada, quando il loro viaggio era ancora giovane.

Quella di quei due era stata una vita una un po’ complicata con degli alti a volte meritati e dei bassi, spesso inferti dal giudizio degli altri, forse erano sì, un po’ strani, slegati dalle convenzioni, perfino le rispettive famiglie, non credevano in loro, come se non fossero cavalli su cui puntare, partiti da votare, cause da perorare… anche se alla fine erano due persone in realtà non troppo complicate e timorose delle regole.

Il loro rapporto era sempre stato sincero, intenso, anche se a volte crudelmente fragile. Era come se fra di loro ci fosse comunque una distanza mai cancellata, un sentore di solitudine, qualcosa di non condivisibile.

Sembrava che la felicità non li dovesse riguardare, e quelle volte che riuscivano ad ottenerne un po’, la stringevano fra le mani talmente forte per la paura di perderla, che finivano per soffocarla.

I due litigavano spesso, ma poi non serviva fare pace; con il passare degli anni, le divergenze erano ormai indurite, come calli di una lunga guerra le cui battaglie erano sempre più fragorose ma dalla vita più breve.

Nonostante tutte le delusioni e i reciproci rimproveri erano comunque rimasti insieme, forse uniti dal solo ricordo di essersi trovati lì, nel posto dove era iniziata la loro strada, solo che adesso il viaggio non era più giovane.

Un giorno lui se ne andò, fece in fretta, nemmeno il tempo di chiarire, prendersela un’ultima volta con lei, rivendicare qualcosa o chiederle scusa.

Dopo il fatto, lei non aveva più voluto abitare in quella casa che le parlava di lui, insieme agli alti a volte meritati, e ai bassi inflitti dal tempo, dalla sfortuna, dagli affari e dal mondo.

Quella casa sembrava emettere suoni, dava l’impressione di essere infestata da un violinista che suonava unicamente melodie meravigliose ma il cui vibrato, trasformava il violino in uno strumento affilato in grado di affettare il cuore delle persone sensibili e innamorate della musica.

Ogni tanto, però, si faceva coraggio e pur di combattere la malinconia, evadeva dal posto che aveva accolto lei e i suoi vecchi gracchianti vinili.

Partiva di buon mattino e andava a prendere l’autobus, tornava lì, in quella casa che aveva sentito sua, non faceva nulla di particolare: entrava, alzava le tapparelle, arieggiava un po’ le stanze e poi si sedeva in cucina, restando ferma, quasi senza respirare, come quando con emozione si attende l’inizio di un concerto.

A un certo punto, con eleganza alzava la mano destra, univa la punta del pollice con quella dell’indice e come se tenesse in mano una bacchetta magica faceva un respiro profondo e dava il levare.

Quell’attimo era breve, intenso e tutto suo, liberava dal silenzio tutti i ricordi che aveva portato con sé.

La musica suonava, era quella di una grande orchestra, che accompagnava le immagini che furiosamente si rincorrevano dentro ai suoi occhi.

Restava lì per un pò, fissando la foto di lui per sempre giovane violinista, e quella di lei mentre scriveva quel rigo musicale. Si vedeva che nel comporlo voleva salvare il massimo dell’amore, quasi sapesse già che avrebbe ritrovato quella musica una volta arrivata alla fine della strada, quando il viaggio non sarebbe più stato giovane.


In ogni dove c’è un incontro con il destino, la direzione che prendi è quella che determina il viaggio. Non mettere in valigia troppe convinzioni, lasciati trasportare.


Ci sono posti dove nessuno dice: “vedrai che andrà tutto bene”.
Ci sono dei posti dove non esistono angeli, luoghi dove le persone vorrebbero di più dai loro giorni e non solo macchie da pulire.
Ci sono posti dove non è una questione di case, soldi, vestiti e auto, ma di riuscire a mangiare, respirare, dormire.
Ci sono dei posti dove le persone diventano muri senza finestre, graffiti di parole vuote e sguardi accecati dal meglio degli altri quartieri.
Ci sono posti dove gli sfigati dominano con una catena d’oro al collo.
Ci sono posti dove le ragazze non danno il loro numero e non vogliono il tuo, posti dove non andrà tutto bene perché anche i sogni sono fuggiti da lì.


Lei e le sue giornate erano sempre le stesse. Aveva dedicato troppo tempo a fare calcoli, ad essere precisa elaborando strategie complesse, escogitando percorsi e progetti in teoria geniali, ma poi sempre abbandonati a metà, deposti sul binario morto delle sue lusinghiere idee sempre prede della ruggine.

Le rodeva il fatto che le sue amiche avevano istintivamente colto i frutti di ogni loro stagione, senza fare tanti calcoli, senza pensare di poter essere più furbe del destino cercando di anticiparne le mosse, mentre lei voleva crescere un albero tutto suo, che desse solo i frutti che le piacevano.

Le giornate tutte uguali passavano come un film al rallentatore, così i mesi e anche gli anni.

Era un’amante della lettura, soggetti d’amore in prevalenza, leggeva quelle storie perché in cuor suo la speranza della storia d’amore perfetta anche per lei, non era mai morta, anzi, quella ricerca non si era fermata, nemmeno per un breve riposo, nonostante la stanchezza.

Quando si faceva sera, una volta sbrigate le ultime faccende e liquidato il compagno che lei giudicava inutile con il quale ormai condivideva solo le spese e i problemi, si ritirava in camera sua, ed è lì che si aprivano le porte del suo vero mondo.

La notte passava talmente in fretta, che quando arrivava il mattino per svegliarla, spesso la trovava addormentata sulla tastiera, strumento che ormai urlava pietà, perché aveva scritto troppe pagine di “Elle” quando lei si sistemava per appisolarsi meglio, girando la testa verso la destra del suo laptop in corrispondenza del tasto della lettera elle, tasto che era orgoglioso quasi quanto lei.

E poi le infinite “W” che non significavano vittoria, era solo che ogni tanto lei si rigirava verso sinistra in corrispondenza del tasto che arrecava la doppia V.

Per lei la notte era bella, ma aveva un unico difetto, quello di passare talmente in fretta facendo che i giorni corressero più dei minuti, le ore più dei secondi e che le idee fossero come dei fulmini che arrivavano all’improvviso colpendo veloci, tanto che il rumore emesso dalle dita che battevano sulla tastiera arrivava solo dopo che nuove idee fulminati erano lì, in attesa di essere dattiloscritte.

Le era rimasta nel cuore la rosa di Giulietta, quella che non avrebbe avuto un altro profumo, anche se si fosse chiamata con un altro nome, le interessavano le vite degli altri, i racconti e anche le storie dei classici la ispiravano. Quelle vicende erano come amiche che la spingevano a scrivere, e così batteva sulla tastiera tante storie dal finale sempre felice, come sperava che alla fine sarebbe stato il suo.

Scriveva e archiviava, scriveva, rileggeva, correggeva e archiviava, ammassava tutte le sue creature sullo stesso binario morto, dove il tempo era da sempre libero di far arrugginire i suoi progetti.

Non osava tentare di pubblicare le sue cose, forse per paura che non piacessero, per timidezza o perché la sua piccola vanità, le vietava di rischiare brutte figure, di ricevere bonari commenti sornioni o ipocriti pietosi sogghigni.

Il tempo passava, e una notte, una brutta notte per lei, fece guastare il computer sul quale aveva salvato le cose sue, i pezzi della sua anima e l’intero pacchetto dei suoi sogni.

Non era una persona ricca, non poteva comprare un nuovo laptop.
La mattina seguente si alzò, fece colazione con il suo adesso quasi inutile compagno, e gli raccontò l’accaduto. L’uomo, ormai rassegnato alla solitudine notturna, spontaneamente le disse: «beh, se si è rotto dammelo, lo porto da un mio amico che smanetta su queste cose». E così fece.

Passarono i giorni senza che l’amico smanettone riuscisse a venirne a capo; un giorno la chiamò e le disse: «ho salvato il contenuto, ma per il laptop, non c’è niente da fare, morto, defunto, basta solo fargli il funerale».
«Hai salvato il contenuto?!» rispose lei sorpresa e riaccesa come fosse una lampadina da un’infinità di lumen, «allora vuol dire che quello che ho scritto non è andato perso».
«Certo» rispose il genio smanettone, «per chi mi hai preso, per uno che non gli importa dei documenti e dei sentimenti della gente? E poi sei la compagna del mio amico, passa da me fra qualche giorno che ti restituisco l’hard disk».

Il caso volle che lo smanettone in quei giorni avesse avuto l’incombenza di risolvere un’altra situazione simile, ma questa volta il laptop era di un suo conoscente che lavorava per una casa produttrice di telefilm di successo. L’hard disk che gli doveva restituire, era pieno di appunti, copioni, sceneggiature, traccie di dioalogo e altro… tutte cose che gli servivano per dare vita a nuove serie del genere romance.

Come spesso accade, ogni piccolo genio e grande smanettone è simultaneamente anche il re della confusione, quindi, è superfluo ricordare che scambiò gli hard disk dando quello di lei a lui e quello di lui a lei, situazione ricorrente nelle tragedie e nei romanzi rosa.

Inevitabilemte squillarono i reciproci telefoni per un appuntamento, lo scopo era quello di restituire ad ognuno dei legittimi proprietari il proprio hard disk.

Di stagioni ne erano passate tante, i frutti sugli alberi erano stati colti dalle altre amiche e quanto pare da tutto il resto del mondo, mentre lei aveva creduto di poter crescere in solitudine un albero tutto suo, ma non le era anadata molto bene, il tempo non l’aveva assecondata.

Questa volta decise di accontentarsi, colse il frutto di stagione e da quel momento la vità le sorrise, le giornate diventarono improvvisamente interessanti e le notti con il suo inutile compagno… wow… si infuocarono come un tempo.


È bello trovarsi dove i pensieri diventano leggeri, dove le tue gambe si rilassano in una bella giornata di sole al mare, dove i tuoi impegni sono rapiti dall’andirivieni di gente in un centro commerciale.
È bello quando i pensieri diventano leggeri rivedendo un vecchio sorriso amico, ed è ancora più bello quando incontri un viso che ti cambierà la giornata, se non la vita, e lo farà dandoti amore. Anche amore fisico.


C’è un mondo meraviglioso dove si può andare quando se ne ha voglia, non serve avere i soldi per il biglietto, non serve il treno, l’auto o la bicicletta, si può raggiungerlo anche ad occhi aperti oppure chiusi, è un posto dove ci sono solo personaggi sui quali si può contare, perché chi è cattivo lo è per davvero ma chi è buono è anche sincero, e chi ama lo fa semplicemente e senza un perché.
A fare la guardia a questo posto c’è un grosso e minaccioso cane, è il secondo cugino di un tal “Cerbero” che è di guardia al seminterrato.
È suscettibile anche lui come il suo illustre parente; ricorda il passato, ti tiene d’occhio nel presente e si arrabbia già per quello che potresti combinare in futuro.
Per entrare in questo mondo devi stare attento, perché lui fiuta da lontano la menzogna, la vanità, l’arroganza, odori che gli danno particolarmente fastidio e lo irritano, facendolo scatenare, stimolandogli l’appetito e la voglia di divorare esseri umani di tal sorta.
Diventa mansueto quando sente il profumo della spontaneità, qualunque persona voi siate, qualunque sia il vostro carattere.
L’unica condizione per non essere aggrediti è quella di essere veramente sé stessi, buoni, bravi, cattivi, imbranati o anche sfaccendati, non importa, basta non cedere nemmeno per un secondo al potere dalla commedia, perché con lui non funziona.


C’è un posto dove vai quando perdi il controllo, è il posto dove lasci che a scegliere per te siano la paura, la vergogna, la rabbia e l’impazienza.
C’è un posto dove non puoi avere il controllo, e sta in mezzo al tuo petto.


Sono tante le notti che non vorresti fossero così.
Sono tante le notti che non ti piace essere lì.
Sono tante le notti dei tuoi pensieri.
Sono troppe le notti da cui fuggire.


Dove andare, dove guardare, dove respirare e dove vivere senza la logica della corsa e degli impegni.
Forse questo “dove” sta da qualche parte e dev’essere così bello.


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