Citazioni, Aforismi e Frasi celebri

Life is like a Rhapsody

Testi di Emanuele Conte tratti dal programma radiofonico “Life is like a Rhapsody

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Oggi, almeno con la fantasia, creeremo un componimento libero, faremo come se ascoltassimo Joe Tex, il mitico cantante R&B, Soul, Funk & Hip Hop degli anni ’60 e ’70, quello che – fondendo ritmo poesia, conversazioni informali e discorsi più o meno interessanti – definì il genere “rhythm and poetry”, cioè il Rap.

Ma non ci fermeremo al moderno Rap, faremo di più, immagineremo di fare un salto nel passato per sentir cantare e narrare il rapsòdo, il cucitore di canti che spesso abbiamo dentro la testa, con le sue storie epiche, racconti popolari di eroi, malfattori, santi, innamorati e brava gente, solo che i protagonisti di questi canti non saranno unicamente gli altri ma anche noi, che a volte con voce stonata, ma in certi giorni perfettamente a tono, solfeggiando note di ricordi allegramente ce la canteremo, oppure ce la suoneremo, proprio come fanno i musicisti quando danno vita a un concerto; soffiano sui legni evocando desideri, mandano le loro labbra vibranti a suonare gli ottoni e il cuore, che non smette mai di battere sulla pelle tesa del tamburo, della grancassa, quella che sta nel gruppo delle percussioni.

E nel mentre, vedremo rivivere le passioni che, come archi di guerra, tendono le corde dei sentimenti. Rivedremo le note, quelle del nostro spartito, che appaiono per poi sparire sul rigo musicale che scorre.

Se ci mettiamo a pensare di noi, non è raro scoprirsi un insieme disordinato, composto da un’impalpabile energia vitale che a volte si consuma nell’espandersi, mentre altre volte dà origine a una reazione a catena. Quello che esplode è un insieme utile di meraviglia, sperate certezze, splendenti momenti, ma anche di strade fastidiose da percorrere insieme a un inutile stupore.

Una sequenza fatta di scelte libere o suggestionate da sensazioni, idee suggerite dagli altri, dal caso e anche se improbabile di decisioni prese dal destino.

Mettendo in fila i nostri momenti migliori, gli attimi maledetti, i giorni chiari e gli inarrestabili tramonti, ci si può accorgere che il nostro Rap, il nostro raccontare, è come la musica jazz, oppure come un movimento che prende il nome dal suo tempo, dalla danza, degli eventi, dal carattere delle parti che lo compongono, un insieme di spunti melodici che pur sembrando esprimere ritmi e armonie diverse poste in un ordine apparentemente improvvisato, dà vita a una indimenticabile rapsodia.


Vivere è come essere dei musicisti che suonano in una rapsodia composta da incontri, momenti diversi l’uno dall’altro, ma inseriti in sequenza in un contesto unico, una congiuntura di tempo, fatti ed esistenze che lasciano delle tracce


La vita appare fatta di blocchi d’acciaio e cemento, sembra sia a compartimenti stagni da dove a volte non entra e non esce aria, né acqua né cibo.

Certe vite sono un acquitrino di occasioni mancate, di slanci inutili, di mani che senza mai aver toccato alcuna forma spontanea di gioia affondano nella melma, sei in una palude di occhi ingannati dalla paura e dalle parole, tante parole.

L’ambiente è popolato di nodi alla gola a malapena affogati delle lacrime o fortunosamente soffocati dall’istinto di respirare, la tua vita è fatta di quello che sai degli altri o che loro ti dicono, forse è per questo che ti sei convinto siano sempre migliori di te, perché ti sembra che non abbiano esitazioni, ti pare che non cambino mai idea.

Poi un giorno cerchi di abbracciarti, magari per confortarti, ti tastati le braccia come quando si ha un pò di freddo e lo fai anche per sentire sentire se sei sempre tu, con la tua carne e tue ossa o se di te è rimasta solo l’idea che ti sei fatto.

È lì che ti accorgi che il tuo sarto, pur non sapendo nemmeno chi tu sia, in realtà ti ha cucito un vestito double face, con una stoffa che non ha, né un diritto né un rovescio, ma è la tua stoffa.

Fra te e te pensi: “forse questo sarto è un elfo, un genio, oppure un dio che comanda tutti i colori delle stagioni” ed è a quel punto che ti rendi conto che ogni giorno indossi il tuo vestito sempre dal lato più scuro, perché a te sembrava più serio presentarsi così, pensando saresti piaciuto di più..

A quel punto ti sfidi a trovare una cabina telefonica per entrarci, come se fossi il più famoso dei super eroi, vuoi reindossare il tuo vestito però dalla parte colorata, ma non trovando cabine telefoniche, ti arrangi lì, sul posto, e per la prima volta non ti curi del giudizio degli altri e non te ne frega niente se ti vedono in mutande.

Hai girato il vestito, cambiato i tuoi colori, e ti accorgi che la scenografia della tua storia è cambiata anche lei, adesso è fatta di blocchi di polistirolo e anche se sembrano di cemento armato, in realtà sono leggeri da spostare e non ha importanza che si tratti di un inganno, di una scenografia, tu vuoi stare in scena.

Scopri che tutto intorno c’è aria da respirare, acqua da bere e cibo… eri tu che non vedevi bene, perché le troppe parole dei copioni degli antri, avevano alzato una cortina di fumo di stoppie, ingannando i tuoi occhi, ma adesso ci vedi meglio, perché delle discrete lacrime di gioia li hanno inumiditi. È sparita la sensazione del nodo in gola, fai un respiro profondo e ti lanci in uno spettacolare tango.


A volte cerchiamo la strada per comporre nuova musica, guardiamo indietro chiedendo aiuto a vecchie note, ma poi, fissando l’orizzonte, vediamo che possiamo solo andare avanti.


L’opportunità di vivere nuovi giorni è la cosa più bella che ci può capitare, non solo di mattina presto appena alzati dal letto, ma a qualsiasi ora del giorno e della notte. E se riusciamo a restare in mezzo alla gente senza sprofondare, troveremo amici e mani tese, saranno giornate bellissime.


La rapsodia della vita è composta anche da pezzi di profonda solitudine, e non solo in giovane età, quando stai cercando di capire chi sei, chi sono gli altri e cosa stai facendo.
In ogni giorno della vita possono esserci dei momenti nei quali pensi di esserti perso e sprofondando in mezzo alla gente ti senti solo…
Ma non preoccuparti, qualcuno ti troverà, al telefono, via email, sui social, fosse anche il postino che suona alla porta per consegnarti qualcosa da pagare, ma stai tranquillo, qualcuno ti troverà, anche se non è garantito che ti veda o ti senta.


Nelle vite delle persone la musica è importante, la melodia, il ritmo, i tempi, le pause, hanno sempre scandito intimamente la storia degli uomini, perché con la musica si parla, si ama, si sogna e si prega. E questo succede sempre, anche quando una meravigliosa composizione viene scritta in tempi crudeli, durante i quali le belve sono a caccia, ma non per fame, solo per potere, infamia o pazzia: il concerto di Varsavia, composto nel 1941.


Che bello ascoltare la voce della gente, è piacevole come sentire alla radio tante canzoni.
Quando suoniamo la nostra rapsodia, composta da giorni e motivi di tutti i tipi, se la musica che suoniamo è veramente la nostra, senz’altro prima o poi troveremo qualcuno che l’apprezzerà e magari la suonerà alla radio.


Certe sere sono fatte, per chi vorrebbe stare con chi ma non può, magari per dimenticare o riempire il vuoto, almeno per un po’.

Sono sere di amici, risate, danze, drink, magari in giro per locali o senza una meta precisa.

Poi, a una certa ora, il ritmo e la compagnia, dapprima uniti da un patto d’acciaio, si stancano di stare insieme, la musica inizia a sfumare e la fratellanza apparentemente indissolubile si dilegua, disperdendo le persone. Ognuno se ne va per i fatti suoi, chi va a casa, chi da un’altra parte e chi vorrebbe stare con chi ma non può, ritorna a pensare, insieme al suo inevitabile amico più sincero: il silenzio.

Inizia a sentire un leggero sibilo, forse per la musica mischiata alle chiacchiere e alle risate che hanno messo a dura prova i suoi timpani, ma poco male, lo hanno distratto dal fatto di essere lui un chi vorrebbe stare con chi ma non può.

Ma il silenzio inizia a fargli sentire anche i rumori più lontani, lo sbuffo della porta di un bus, un cane che abbaia perché ha visto un gatto, le gocce della pioggia che cadono dai tetti con un rumore assordante, quasi insopportabile da quanto è romantico, e poi inizia il suono di altre feste, di altri momenti felici in lontananza.

A quel punto, chi vorrebbe stare con chi ma non può, immagina di essere in una classica, quasi stucchevole storia d’amore come quelle che ha letto o visto al cinema. Immagina di stare sotto un balcone o su una scala antincendio ed è lì che… chi vorrebbe stare con chi ma non può… inizia a sorridere, anche se un po’ con la faccia da ebete.


Al contrario di quanto si è abituati a sentire in giro, con espressioni del tipo: “io quella faccia non la dimentico, sono bravo con i volti ma non con i nomi”,  nella mente dei poeti, nelle messe in scena dei drammi o più avanti nel melodramma e poi da sempre nelle storie di chi vorrebbe stare con chi ma non può, i nomi hanno un grande valore.

Oh Romeo Romeo, perché sei tu Romeo?
Rinnega tuo padre, rifiuta il tuo nome, o se non vuoi, giura che mi ami e non sarò più una Capuleti.
Solo il tuo nome è mio nemico: tu sei tu. *

Come quello di Beatrice “Colei che rende beati” ben presente nei sublimi pensieri innamorati di Dante, quando spera che piaccia a Dio dargli abbastanza giorni per scrivere di lei quello che nessuno ha mai scritto per nessuna.

O più avanti quando shakespeare fa dire a Giulietta:

Che vuol dire “Montecchi”?
Non è una mano, né un piede, né un braccio, né un viso, nulla di ciò che forma un corpo.
Prendi un altro nome.
Che cos’è un nome?
Quella che chiamiamo “rosa” anche con un altro nome avrebbe il suo profumo.
Rinuncia al tuo nome, Romeo, e per quel nome che non è parte di te, prendi me stessa.*

Ma come avviene nelle cose della vita, per essere ricordato tutto deve avere un nome, specialmente nelle storie di chi vorrebbe stare con chi ma non può.

I volti, gli occhi, le labbra, le forme fisiche hanno molta importanza quando la mente vuole richiamare a sé le storie accadute fra persone… e anche se il tempo normalmente fa il gioco contrario, cercando di offuscarle o di portarle via con il suo trascorrere, magari per dare un po’ di sollievo a chi vorrebbe stare con chi ma non può, né al calendario né all’orologio quel gioco risulta facile.

Basta ricordare un nome, vero, falso, strano, messo sopra, oppure frutto di uno scherzo, di un dolce segreto o di una pura carezza, che tutto torna vivo come succedesse lì, e per la prima volta.

(* da Giulietta e Romeo di Shakespeare)


La nostra rapsodia, la nostra compilation o playlist, può essere composta con tutti i motivi che vogliamo o che ci capitano, meglio suonarli tutti senza rischiare di dire avrei potuto, avrei dovuto, sarà un bel viaggio a tutto volume, uno spasso di viaggio.


Vivere o sopravvivere. Accontentarsi è come arrendersi, aspettando il nulla, è come attendere con impazienza la fine di un film o di una serie televisiva, per poi vederne un’altra e un’altra ancora pur di stare lontani dalla realtà.


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